In un mercato dei vini dove la qualità è ormai diffusa, la differenza con i concorrenti si gioca in gran parte sulla comunicazione e sul coinvolgimento. Non a caso il corso Comunicare il vino organizzato da Enora, GB export e Gheusis con la collaborazione del Consorzio di Promozione I Vini del Piemonte si presenta con l’affermazione buono non basta. Per rendere unico un prodotto, occorre saper raccontare la storia che c’è dietro a un vino. Silvia Baratta, esperta di comunicazione del vino e docente, sarà relatrice del corso. Ci ha anticipato alcuni dei temi che toccherà nel suo intervento.
Quanto conta raccontare il vino che si vuole vendere?
È fondamentale, perché la qualità ormai è data come un prerequisito. Sapere aggiungere alle qualità organolettiche del prodotto un racconto che lo renda veramente unico è quello che può determinarne il successo sul mercato. Soprattutto se nel messaggio riusciamo a trasmettere un’emozione, chi siamo, che cosa facciamo e perché.
Che cosa va raccontato? il territorio, le persone o le caratteristiche del vino?
La componente umana è un elemento importante, per almeno tre motivi. Innanzitutto ognuno di noi tende a immedesimarsi nelle situazioni altrui, magari proprio quelle che il produttore vive o ha vissuto. In secondo luogo la nostra mente, come ci insegna la neuroscienza, non è fatta per registrare dati, quanto piuttosto per ricordare le storie che le vengono raccontate. Lo storytelling non è una semplice moda, ma una spiegazione neuroscientifica al modo in cui noi rispondiamo alle informazioni che ci vengono fornite. Infine, la tendenza ancestrale a mettere ordine nei fatti: le storie aiutano a memorizzare quel che il produttore racconta, perché fa quello che fa, dove lo fa e in generale tutte quegli elementi della sfera affettiva. Inglobare la componente umana nel nostro racconto è l’elemento in più per determinare il successo del nostro vino.
“Comunicare il vino spetta a chiunque faccia parte della cantina, all’interno o all’esterno”
Comunicare il vino è un compito che spetta solo ad alcuni professionisti all’interno delle cantine?
Più il messaggio trasmesso è univoco, più passa. Comunicare il vino spetta a chiunque faccia parte della cantina, all’interno o all’esterno. Creare uno stile di comunicazione comune consente a chiunque lavora in azienda di trasmettere sempre lo stesso messaggio e sempre con lo stesso stile.
Lo stile del racconto è molto importante, quanto e forse di più del contenuto del racconto. Il vino si comunica a parole, gesti, emozioni. Creare un’unità di questa comunicazione all’interno di una cantina dà un messaggio più forte e permette di comunicare il brand con più canali. Spetta quindi a tutti comunicare all’interno dell’azienda.
“Oggi il mercato è più affollato rispetto al passato. Bisogna comunicare con unicità per emergere dalla massa”
La necessità di comunicare quello che c’è dietro a una bottiglia è dovuta all’esplosione dei social media o è sempre esistita?
È una necessità da sempre, oggi ancora più sentita per la nascita e l’esplosione dei social. Chi viene in contatto con la nostra bottiglia, se colpito, può diventare ambasciatore del nostro brand. Ma oggi il mercato è molto più affollato rispetto al passato: bisogna comunicare con unicità per emergere dalla “massa”. Di vini buoni ce ne sono tanti, ma perché il mio è diverso dagli altri? Ed è questa diversità che determina poi una scelta di comunicazione precisa. Non siamo più in un mercato ristretto a pochi vini di qualità: oggi il vino ha mille sfaccettature, con tanti produttori bravi e tante varietà autoctone che oggi costituiscono un elemento di grande interesse. Allo stesso tempo, una scelta ampia rischia di creare confusione nella mente del destinatario, che va colpito attraverso una comunicazione incisiva.
Quali sono le banalità da evitare nel racconto del vino?
Primo: evitare l’utilizzo di espressioni ormai abusate, per esempio “tradizione e innovazione”, “eccellenza” e tutti questi sostantivi assoluti che molto spesso hanno accompagnato la comunicazione del vino. Siamo efficaci se riusciamo ad adottare il punto di vista del pubblico cui ci rivolgiamo, se riusciamo a intuire cosa gli interessa. Le frasi fatte, invece, non sono restano impresse.
Secondo: evitare di parlare di altri produttori in modo critico. Meglio parlare bene di noi e degli elementi che sono alla base della nostra filosofia, piuttosto che concentrarci sul perché gli altri lavorano male. È una cosa che non fa bene a nessuno, tanto meno a noi.
Terzo: evitare di concentrarci su dati statistici, aspetti tecnici, analisi chimiche. Il nostro cervello non è fatto per immagazzinare numeri, è più interessante dire come e per quale motivo è nato un vino, ad esempio.