Aprirsi ai nuovi mercati esteri e lavorare sui fondi europei PSR. Sono queste le due ragioni principali che hanno portato un anno fa Ideazione (e il suo spin-off Enora) a incrociare il percorso della Strada del Riso Vercellese di Qualità.
Obiettivo? Valorizzare e presentare il prodotto-riso piemontese puntando sulla qualità e sul fatto di essere una tipicità molto poco conosciuta all’estero. Incredibile ma vero: molti paesi stranieri non sanno che l’Italia, e precisamente il Piemonte, produce un riso di altissimo profilo. Ecco perché il progetto ha puntato sin da subito su promozione e degustazione, ma senza dimenticare l’aspetto fondamentale dell’educazione e dell’avvicinamento di professionisti e consumatori finali al prodotto.
L’attuale pandemia mondiale ha purtroppo cristallizzato le iniziative in calendario, ma l’idea è di partire nel 2021 con cene di degustazione (si dovrebbe iniziare dalla Danimarca) per addetti ai lavori e progetti di incoming che diano l’opportunità ai professionisti di visitare le risaie, le aziende e illustrare la lavorazione del riso, dalle prime fasi della coltivazione alla sua messa in tavola.
Di tutto questo e molto altro abbiamo discusso in compagnia di Massimo Biloni, presidente dell’associazione Strada del Riso Vercellese di Qualità.
In cosa consiste il nuovo progetto di formazione de La Strada del Riso Vercellese di Qualità?
Si tratta di un percorso esperienziale che punta ad attirare, divertendo, le persone per far loro scoprire il mondo che sta dietro al riso: territorio, acqua, cultura, coltivazione, passione, unicità.
Su che cosa punta l’Associazione con questo percorso?
L’obiettivo è duplice. Da una parte rafforzare le aziende sul territorio creando maggiore percezione delle professionalità circostanti: il ristoratore che conosce meglio cosa coltivano gli agricoltori, la guida turistica che approfondisce le proprie nozioni sulle differenti varietà di riso, l’agricoltore che comprende le aspettative dei turisti e le necessità dei ristoratori, le scuole che formano gli imprenditori di domani conoscendo le filiere sul territorio, ecc.
Il secondo obiettivo, rafforzata la squadra, è di affrontare il mercato al di fuori dei confini provinciali e offrire non un semplice prodotto ma un intero territorio, la sua storia, la sua cultura e l’opera dell’uomo. Perché il riso che mangiamo è il frutto dell’interazione di tutto questo e non di un elemento solo. Offrendo un “pacchetto completo” il consumo di riso italiano di qualità diventa un’occasione esperienziale incredibile e non una mera scelta alimentare.
Non pensa che, dando grande risalto al prodotto finito, quindi il riso, si rischi di mettere in ombra tutto quello che c’è dietro?
Siamo in una società bombardata di informazioni e di stimoli. Se vogliamo raggiungere i nostri target dobbiamo saper arrivare alla gente. Nessuna spettacolarizzazione, nessun eccesso, vogliamo adottare sistemi attraenti per coinvolgere il pubblico in un’esperienza che unisca il piacere personale all’apprendimento. In due parole: imparare divertendosi.
Più facile, con la consulenza Enora
Il mondo parla inglese, ma sogna italiano. Per chi lavora con un simbolo del made in Italy come il cibo, le opportunità per conquistare nuovi mercati sono tutte da cogliere. Enora propone consulenze profilate per produttori e aziende che desiderano esportare i propri prodotti agroalimentari.
Su questi temi i media riescono a veicolare un’informazione e un’immagine corretta? In che modo voi utilizzate i media, quelli digitali soprattutto?
Credo che oggi ci siano tutti gli strumenti per cercare informazioni corrette sui media. Reputazione e analisi delle fonti sono dati accessibili, per chi li vuole cercare. Noi crediamo che i media siano strumenti formidabili e, come altre strumenti in passato (la televisione per esempio), possano essere considerati sia un luogo di forte disinformazione sia interessantissimi strumenti di divulgazione della cultura. Molte aziende e molti utenti utilizzano in modo professionale Facebook, Instagram e YouTube. Noi miriamo a queste persone cercando di fornire informazioni puntuali e professionali su quanto facciamo. Riteniamo infatti che “fare bene” e “non divulgare” sia sbagliato quanto “non fare”. E se l’informazione di oggi viaggia principalmente sui media allora è lì che dobbiamo divulgare.
Nel mondo del riso c’è rivalità tra produttori?
In realtà sono pochi i produttori che vendono direttamente al consumatore. In generale non c’è rivalità.
I produttori di riso sono “diversi” tra di loro e, se sì, in che modo si possono notare queste differenze?
Il riso che arriva sulle nostre tavole è la combinazione di molteplici fattori: la varietà scelta, la tecnica di coltivazione, il luogo, la temperatura del luogo dove cresce il riso, la data di raccolta, la tecnica di essiccazione e stoccaggio, la durata dello stoccaggio, le macchine per la lavorazione, il grado di lavorazione, il confezionamento, ecc. È praticamente impossibile che il riso di due produttori diversi sia uguale. Alcune differenze sono macroscopiche, altre sono sensoriali e si scoprono in degustazione. La grande industria e molti ristoratori lo sanno e tengono le partite di riso acquistato dagli agricoltori ben separate, usandole in modo appropriato in base alle caratteristiche merceologiche. Un corso di analisi sensoriale del riso, anche a livello “principiante”, permetterebbe a chiunque di muovere i primi passi per giudicare meglio il prodotto che mangiamo.
Quali sono le chiavi per esportare o comunque far conoscere all’estero un prodotto come il riso la cui tipicità è spesso inconsciamente associata ai paesi asiatici?
In Italia il riso viene coltivato, lavorato, cucinato e consumato diversamente. Non solo. Nonostante siamo un piccolo paese produttore di riso rispetto ai giganti asiatici come India e Cina, abbiamo svolto un intenso lavoro di sviluppo varietale che rende il nostro prodotto unico in tutto il mondo. Per far conoscere all’estero il nostro riso non serve fare concorrenza ai risi asiatici, alcuni dei quali pur buoni e di elevata qualità. Basta parlare del nostro riso, delle sue caratteristiche e delle sue differenze, della sua attitudine ad essere usato per fare un risotto o un’insalata di riso, un antipasto con verdure o una torta, una pizza più leggera o una birra gluten-free, un gelato delicato o una bevanda alcolica col caffè. Gli usi sono tanti e le oltre 200 varietà di riso iscritte al registro italiano permettono di sfruttare tutta l’arte culinaria del nostro Paese in espressioni gastronomiche che uniscono passione e gusto. Basta questo.
Sempre in tema di export del riso, fino a che punto può essere efficace il “do it yourself” e quando invece un produttore dovrebbe affidarsi a figure esperte?
Gli Italiani sono dei creativi. Ciascuno secondo me ha il diritto di provarci e spesso, da queste prove, emergono novità interessanti da sviluppare. Alla fine ciascuno deve capire quali sono le proprie capacità e dove ricadono i propri talenti, nella coltivazione, nella lavorazione, nella cucina o nella comunicazione. Se mettiamo insieme una squadra che sia in grado di condividere talenti e capacità non possiamo che essere più forti e vincenti.
Quali sono, storicamente ma soprattutto in questa delicata fase di transizione globale, i mercati più solidi e quelli più futuribili per il prodotto-riso italiano?
Il riso italiano a breve termine ha ancora molto spazio da guadagnare in Italia. Bastano alcune semplici interviste per capire quanto poco si sa di riso, tanto al Sud quanto al Nord. Rivisitando ricette storiche locali (sono tantissime in tutte le regioni) o utilizzando le tante nuove varietà di riso si potrebbe implementare l’offerta gastronomica italiana con nuove idee per conquistare sempre più mercato. Gli italiani sono sempre più attenti alla salute, alla dieta, alla cucina gluten-free o naturale. Il riso si presta perfettamente ai nuovi stili di vita degli italiani. Il risotto all’estero non è molto consumato. Abbiamo la grande opportunità di far conoscere il riso italiano insegnando a cucinarlo. Di più: la possibilità di far conoscere il riso italiano all’estero cucinandolo nei modi in cui gli stranieri preferiscono. Non promuoviamo semplicemente il riso, ma tutta l’italianità che riusciamo a metterci dentro.